Con il nuovo impianto del 2019 e, più ancora, con le successive modifiche attuative della Direttiva UE c.d. Insolvency, il legislatore italiano si è allontanato dalla visione tradizionale, risalente alla Legge. Fallimentare del 1942, che inquadrava il fallimento come una pianta malata, da estirpare per mantenere il mercato in uno stato di perfezione.
Il legislatore unionale, con la Direttiva Insolvency, ha focalizzato l’attenzione sulla necessità di affrontare le situazioni precrisi, ragionando su tre argomenti:
- il punto di partenza è il dato obiettivo che negli ultimi anni le situazioni di crisi e insolvenza sono aumentate notevolmente, facendo divenire il fenomeno quasi endemico; di conseguenza l’accezione negativa di fallimento del secolo scorso risulta stridente ed eccessiva nel contesto attuale;
- dalla stessa analisi dei dati fattuali è emersa l’importanza della tempestività dell’intervento: tanto più è anticipato, tanto maggiori sono le probabilità di salvataggio dell’impresa;
- l’elemento forse più rilevante è rappresentato dal nuovo punto di vista adottato dal legislatore di fronte a situazioni di crisi o insolvenza. Da un approccio prospettico, si è passati, difatti, a un approccio prognostico: si sono incrementati i sistemi di allerta e aumentati i poteri e le responsabilità degli organi di amministrazione e di controllo e si sono potenziati gli strumenti preconcorsuali finalizzati al risanamento.
Le principali novità normative, in tal senso, si sono avute con il novellato art. 2086 del Codice civile (Cc) e con l’art. 3 del Codice della Crisi (CCI).
La rilevanza delle modifiche all’art. 2086 Cc
Al comma 2 dell’art. 2086, come modificato dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, così si legge: L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.
Parole-chiave della novella sono assetto organizzativo, assetto amministrativo e assetto contabile, che devono essere istituiti, nell’impresa in forma collettiva, al fine di consentire una la rilevazione precoce delle situazioni di criticità.
Dalla modifica del 2019 emergono due aspetti importanti:
– l’espresso riferimento alla forma societaria o collettiva in cui deve operare l’imprenditore di riferimento fa intendere che, ai fini della corretta attuazione delle prescrizioni dell’articolo in esame, l’impresa deve agire a partire dalla sua struttura organizzativa, andando ad ampliare i poteri e, soprattutto, le responsabilità degli organi amministrativi e di controllo. Così, ad esempio, il necessario mantenimento di assetti organizzativi adeguati impone adesso agli amministratori di gestire risorse umane e materiali anche tenendo presente tale obbligo normativo: gli organi di controllo acquistano il compito di valutare le scelte degli organi amministrativi rispetto agli obiettivi strategici.
– gli assetti organizzativo, economico-finanziario, amministrativo e contabile incidono sulle scelte relative ai prodotti/servizi commercializzati, all’organizzazione interna adottata, ecc.: l’obiettivo che si persegue è la costante salubrità aziendale e tale obiettivo diviene a tal punto rilevante da incidere significativamente sulle scelte organizzative e commerciali dell’impresa strutturata in forma societaria.
I principi generali dell’art. 3 CCI
Una nozione più ampia relativa ai due menzionati concetti di assetto organizzativo, assetto amministrativo e assetto contabile la si ricava dall’art. 3 CCI, che, appunto, fa espresso richiamo all’art. 2086 Cc., ma che si riferisce anche all’imprenditore individuale.
a) gli obblighi dell’imprenditore individuale
L’art. 3 CCI, al comma 1, impone all’imprenditore individuale di:
- adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e
- assumere le iniziative necessarie per farvi fronte.
Rispetto all’imprenditore organizzato in forma societaria, l’imprenditore individuale è lasciato più libero nelle scelte organizzative, limitandosi a imporre l’obiettivo finale della tempestiva rilevazione dei segnali precrisi. Al riguardo, si segnala che, per altra via, lo stesso legislatore sembra caldeggiare in tal senso l’adozione, quanto meno, di software e gestionali con funzionalità specificamente dirette ad analizzare i dati inseriti per valutare le condizioni economiche e finanziarie dell’impresa, avendone incentivato l’adozione con bandi e contributi a fondo perduto già dall’entrata in vigore della norma.
b) gli obblighi dell’imprenditore in forma societaria o collettiva
L’imprenditore collettivo, ai sensi dell’art. 3, comma 2, CCI, deve:
- istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato, ai sensi dell’art. 2086 Cc, per consentire la tempestiva rilevazione dello stato di crisi e
- adottare idonee iniziative.
L’art. 3 CCI prosegue, poi, al successivo comma 3, enunciando quelle che si possono definire le funzionalità minime delle misure di cui al precedente comma per garantirne la loro idoneità in chiave anticrisi:
- rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, da individuarsi in relazione alle specifiche e peculiari caratteristiche della singola impresa;
- verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i dodici mesi successivi e rilevare eventuali segnali di precrisi;
- ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, secondo il modello elaborato per lo strumento della composizione negoziata, di cui all’art. 13, comma 2, CCI.
I segnali per la tempestiva rilevazione della crisi
A chiusura dell’art. 3 CCI, il comma 4 elenca i segnali per prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa di cui al comma 3. Essi sono:
a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni che siano di importo totale superiore alla metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;
b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni e che siano di importo totale superiore all’ammontare complessivo dei debiti non scaduti;
c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni oppure che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma a condizione che siano di importo totale superiore ad almeno il 5% dell’ammontare complessivo delle esposizioni;
d) l’esistenza di una o più delle seguenti esposizioni debitorie:
- per l’INPS: il ritardo di oltre novanta giorni del versamento di contributi previdenziali di ammontare superiore a determinati minimi indicati dettagliatamente all’art. 25-novies, comma 1, lett. A), CCI.
- per l’INAIL: l’esistenza di un debito per premi assicurativi scaduto da oltre novanta giorni e non versato superiore a 5.000 euro;
- per l’Agenzia delle entrate: l’esistenza di un debito scaduto e non versato relativo all’IVA superiore a 5.000 euro;
- per l’Agenzia delle entrate-Riscossione: l’esistenza di crediti affidati per la riscossione, autodichiarati o definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni, superiori, per le imprese individuali a 100.000 euro, per le società di persone a 200.000 e per le altre società a 300.000 euro.
Alcune considerazioni conclusive
Alla luce della effettuata disamina della disposizioni normative di riferimento, riprendendo quanto si diceva all’inizio, con riferimento al radicale cambio di prospettiva attuato dal legislatore del 2019 rispetto all’impostazione precedente, risalente a un’ottantina d’anni prima, si vede che tale modifica sostanziale si àncora a parametri numerici ben definiti.
Potrebbe, perciò, nella sua relativa schematicità espositiva, far pensare a interventi semplici da attuarsi e a correttivi altrettanto semplici ed immediati da attuarsi.
Tuttavia, si deve tenere presente che l’attività imprenditoriale non è concepibile in comparti rigidamente distinti e statici, quanto, piuttosto, in un complesso di aspetti in equilibrio dinamico ed evolutivo tra loro. Incidere su uno di essi non può che avere come conseguenza la perturbazione dell’insieme, perciò, un intervento ai fini del conseguimento di adeguati assetti organizzativi, economico-finanziari e contabili a fini precrisi non può in nessun modo prescindere dalla valutazione preventiva dei possibili effetti che tale intervento può provocare sugli altri elementi in equilibrio.
Diviene, quindi, fondamentale prestare massima attenzione nella individuazione e nella adozione in concreto delle misure idonee precrisi di cui si parlava poco sopra. Inoltre, si deve tenere conto che detta interconnessione tra i diversi profili imprenditoriali è destinata a produrre effetti anche qualora un interessato intenda dimostrare un danno causato dalla lamentata inadeguatezza degli assetti adottati dall’impresa, perché risulterà arduo provare il nesso causale tra le scelte imprenditoriali e la denunciata inadeguatezza delle misure adottate per prevenire situazioni di crisi.