di Marzia Marconcini
Le disposizioni di cui all’art. 390 c.c.i. si propongono di coordinare la previgente legge fallimentare con il nuovo codice della crisi e di indicare quale dei due complessi normativi si applichi a determinate situazioni di confine.
Così, il primo comma afferma il principio generale per cui gli atti di apertura delle procedure concorsuali presentati prima dell’entrata in vigore del nuovo codice della crisi continuano ad essere soggetti all’applicazione della previgente normativa, che, in effetti, era in vigore, appunto, alla presentazione di detti atti.
Tuttavia, l’enunciato del primo comma non è formulato proprio in questi termini generali; in esso, difatti, il legislatore della riforma ha optato, piuttosto, in un elenco dettagliato delle procedure cui si dovrebbe applicare la disposizione in esame, ed in particolare: i ricorsi per dichiarazione di fallimento, le proposte di concordato fallimentare, i ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, i ricorsi per l’apertura del concordato preventivo, i ricorsi per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e le domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
A tutte le procedure sopraelencate, se gli atti di avvio sono stati presentati antecedentemente al 15 luglio 2022, si applica la Legge fallimentare del 1942 o, nell’ultimo caso, la Legge 3/2012.
La disposizione del primo comma, quindi, secondo l’intento del legislatore della novella, segna una sorta di spartiacque tra la normativa previgente e quella attuale.
Se nessun dubbio può sorgere a livello teorico, qualche problema può sorgere, invece, sul piano applicativo.
Difatti, ad esempio, di fronte a istanze di dichiarazione di fallimento presentate in data posteriore al 15 luglio 2022, alcuni tribunali ne hanno dichiarato l’inammissibilità, mentre altri le hanno accolte semplicemente effettuandone una riqualificazione corretta secondo il principio iura novit curia.
Se, poi, di fronte ad atti omogenei l’applicazione della normativa in esame è più immediata, diverso è il caso in cui le domande presuppongano l’avvio di procedure diverse.
Nel primo caso opera il principio generale di cui all’art. 7 e ss. c.c.i., per cui ogni domanda sopravvenuta è riunita a quella già pendente: così, davanti a una istanza di fallimento presentata da un creditore prima del 15 luglio 2022 e un ricorso per l’apertura di liquidazione giudiziale proposto da un altro creditore dopo tale data, la disciplina processuale della prima istanza attrae la disciplina processuale (e sostanziale) del secondo ricorso, perché identici sono la finalità e l’oggetto dei due atti.
Cosa accade, però, se all’ istanza di fallimento presentata da un creditore prima del 15 luglio 2022 segue un ricorso per concordato preventivo presentato dopo il 15 luglio ma prima della data dell’udienza (prefallimentare)? Volendo dare alla disposizione in esame una finalità non soltanto di regolazione del diritto processuale applicabile ma anche di individuazione del diritto sostanziale parimenti applicabile, si deve ritenere corretta l’interpretazione per cui il ricorso per concordato deve essere riunito all’istanza di fallimento e ad entrambi si applica la Legge fallimentare del 1942.
E se ciò è vero nel caso in cui il ricorso per concordato sia stato presentato dopo il 15 luglio 2022 ma prima della dichiarazione di apertura del fallimento, a maggior ragione tale potere attrattivo della prima procedura avviata dovrebbe operare nel caso in cui il ricorso sia depositato dopo il decreto di apertura della procedura fallimentare, anche la norma tace sul punto.
Da questi esempi, alcuni dei quali verificatisi in concreto con esiti diversi a seconda delle scelte interpretative seguite dai tribunali, come sopra evidenziato, appare evidente la difficoltà in cui l’interprete si può venire a trovare al momento dell’applicazione concreta di questa disposizione, astrattamente, peraltro, molto chiara nella finalità perseguita.
Di più facile interpretazione è la fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 390 c.c.i., dove il legislatore della novella si limita ad enunciare il principio generale per cui, alle procedure pendenti al momento dell’entrata in vigore del nuovo corpus normativo, si continua ad applicare la normativa vigente al momento dell’avvio delle medesime, e lo stesso principio vale, si precisa al terzo comma, nel caso in cui in relazione alle procedure di cui ai commi 1 e 2, siano commessi i fatti puniti con le disposizioni penali del titolo sesto del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché della sezione terza del capo II della legge 27 gennaio 2012, n. 3.