Come si manifesta lo stato di crisi dell’impresa?
Un’impresa si trova in stato di crisi quando i flussi di cassa prospettici non sono sufficienti per far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi (dall’art. 2 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), quando, cioè, prendendo come riferimento l’arco temporale di un anno, le entrate attese in tale periodo non si dimostrano sufficienti a coprire le spese già programmate per lo stesso periodo.
Dallo stato di crisi l’impresa può uscire a testa alta
Se un’impresa viene a trovarsi nello stato di crisi ora descritto, non è affatto detto che sia spacciata e destinata a uscire dal mercato: se ha gli strumenti e le condizioni per superare positivamente le criticità, può tornare in bonis e rimanere in piedi ancora per molti anni.
Lo stato di crisi dell’impresa, è, difatti, una situazione caratterizzata dalla limitatezza temporale e dalla reversibilità. Ciò contraddistingue, difatti, tale condizione dal più grave stato di insolvenza, definito allo stesso art. 2 del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
Perché è importante che l’imprenditore si rivolga a un professionista alle prime avvisaglie di crisi
Una volta stabilito che dallo stato di crisi l’impresa può uscire avendo riconquistato le medesime condizioni di floridità in cui si trovava prima di precipitare nella fase di criticità, allora ben si comprende l’importanza, rimarcata anche dal legislatore, di attivarsi tempestivamente.
La velocità della reazione, difatti, è direttamente proporzionale, non solo al buon fine, in generale, dell’operazione, ma anche, elemento non secondario, alla rapidità dei tempi di ripresa.
Tuttavia, come accade in generale in tutte le situazioni di difficoltà, quando il soggetto che dovrebbe intervenire è direttamente e profondamente coinvolto nella situazione critica e nelle sue cause, svolgere un’analisi obiettiva diviene difficile.
Risulta, quindi, evidente il ruolo che viene a svolgere il professionista: il consulente, infatti, esente da ogni coinvolgimento emotivo, utilizzando i documenti fornitigli dall’imprenditore ed interrogando direttamente il medesimo, nonché ricorrendo alle altre informazioni reperibili dagli enti istituzionali e dalle banche dati pubbliche, in pochi giorni potrà delineare la reale situazione in cui versa l’impresa, e da lì partire per pianificare le possibili soluzioni.
Oltre a individuare e stilare elenchi di crediti e creditori, evidenziando i crediti privilegiati eventualmente presenti, e a descrivere in maniera puntuale la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa, il professionista, proprio partendo da quest’analisi, ha il principale obiettivo di verificare se l’impresa abbia la forza economica di sostenere una proposta da presentare ai creditori che sia per gli stessi appetibile e, perciò, accettabile.
Con la formalizzazione dell’incarico, il professionista si affianca, dunque, all’imprenditore e lo assiste nella gestione del debito e nella formulazione delle proposte da presentare ai creditori.
Si noti che le proposte sono presentate ai creditori singolarmente, e senza necessità di rispettare il principio di proporzionalità: da ciò si coglie con maggiore evidenza l’importanza delle scelte strategiche che il consulente elabora per conto ed in condivisione con l’imprenditore.
L’importanza della formulazione di proposte personalizzate per ciascuno dei creditori
La soluzione della riorganizzazione delle procedure di gestione aziendale e del sistema delle uscite è sicuramente meno gravosa per l’imprenditore, che, a fronte di nessun nuovo impegno di spesa, vedrà aumentare il guadagno, anche a parità di flussi di entrata.
Tuttavia, in alcune situazioni tale percorso non è materialmente praticabile, quindi, sempre qualora il professionista ritenga che ci sia un buon margine per arrivare a formulare ai creditori proposte appetibili, non resta che valutare di ricorrere a strumenti di finanza esterna.
In questi casi, oltretutto, non sempre le banche e gli altri intermediari finanziari, in ragione del basso rating dell’impresa, si dimostrano immediatamente disponibili a offrire all’imprenditore in crisi strumenti economicamente convenienti, perciò si può rendere necessario aggiungere garanzie personali o reali o ricorrere a fideiussioni.
In ogni modo, la contrazione di finanziamenti o di prestiti personali prevede sempre l’obbligo di restituzione del capitale, maggiorato degli interessi convenuti. Ciò può comportare, oltre agli attesi vantaggi, anche qualche svantaggio per l’imprenditore.
I pro e i contro del ricorso ai prestiti personali e ad altre analoghe forme di finanza esterna
I crediti non hanno tutti lo stesso peso e non gravano tutti allo stesso modo sull’impresa.
Di ciò è ben conscio il professionista, e, perciò, una volta che ha stabilito le capacità economiche dell’impresa per far fronte alle obbligazioni assunte, elabora per ciascun creditore una proposta personalizzata, recante l’offerta di pagare una parte del credito. Il pagamento, in ragione soprattutto dell’entità del credito, può essere previsto in un’unica soluzione o in base a un piano di rateizzazione.
Due precisazioni si rendono necessarie, anzi, tre.
In primo luogo, esistono crediti privilegiati, che devono essere soddisfatti con prelazione rispetto agli altri crediti chirografari, cioè non muniti di garanzia reale o personale.
In secondo luogo, come si accennava, i creditori non hanno solitamente tutti la medesima forza impositiva, per cui diviene strategico individuare quelli a cui può essere proposto uno sconto maggiore del credito vantato con buone prospettive di accoglimento dell’offerta transattiva.
Infine, ma non per importanza, alcuni crediti si sottraggono a queste proposte “a saldo e stralcio”, un esempio tra tutti sono i crediti dell’Erario.
Le basi economiche per la formulazione delle proposte
Le fonti di reddito dell’impresa, che hanno consentito al consulente di ritenere percorribile la strada del risanamento, possono essere interne od esterne all’azienda.
Nel primo caso, il margine positivo diviene frutto di una risistemazione delle spese attese aziendali, dovute a operazioni quali la riduzione del canone di locazione, l’utilizzo di macchinari a noleggio piuttosto che di proprietà, la scelta di prodotti economicamente più convenienti a parità di requisiti, lo smaltimento delle materie prime stoccate in eccedenza, ecc.
Nel secondo caso, cui solitamente si ricorre quando le precedenti attività non sono possibili o, comunque, non sono sufficienti a garantire il risultato atteso, il consulente consiglia l’imprenditore di ricorrere a forme di finanza esterna, prestiti e finanziamenti.
Si noti che, vista l’onerosità di entrambe le soluzioni, il professionista le proporrà all’imprenditore soltanto una volta accertato che i creditori accetteranno le proposte ricevute e, quindi, quando avrà la certezza del buon esito dell’operazione.
La rateizzazione dei debiti
Quando, anche a seguito dell’accettazione della proposta di saldo e stralcio, il debito rimane molto ingente, o qualora, come sopra evidenziato, si sia in presenza di un debito non negoziabile, come il credito verso l’Erario, il professionista ricorre allo strumento della rateizzazione dei debiti.
Soltanto l’Erario non accetta neppure la negoziazione del piano di rateizzazione, che viene imposto secondo parametri normativamente prefissati.
Negli altri casi, la rateizzazione dei debiti è frutto di una negoziazione tra il debitore – e il professionista che lo assiste – e il creditore.
Il professionista solitamente propone una rateizzazione dei debiti senza interessi, per rendere il debito meno pesante nella gestione dell’attività d’impresa.
Anche l’entità della rata viene determinata dal professionista tenendo conto delle effettive capacità economiche dell’impresa, frutto delle menzionate scelte di finanza interna e/o esterna, così come la cadenza della rata, che può essere mensile o addirittura semestrale, secondo le esigenze imprenditoriali del debitore.
Solitamente tutti i creditori accettano la rateizzazione dei debiti, con una contemporanea riduzione dell’importo complessivo del debito che va da un minimo del 20% fino a uno standard che oscilla tra il 60% e il 70%.
È chiaro, tuttavia, che il creditore accetterà la riduzione dell’importo a condizione di veder soddisfatte il prima possibile le proprie pretese, per cui, per condurlo ad accettare la proposta, in genere nell’accordo sono inserite formule che prevedono che, in caso di mancato rispetto anche di una sola scadenza, l’accordo stesso si intenderà decaduto e il creditore tornerà titolare del credito originario.